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Pet Therapy: psicologi a 4 zampe!

Non hanno bisogno di addestramento i cani che fanno compagnia ai malati.

Quel che conta è l’indole: «Tra gli animali impiegati nella Pet therapy, il più adatto è il cane», spiega Mario Colombo, presidente della Frida’s Friends Onlus, associazione che diffonde la Pet therapy negli ospedali italiani. «Non è previsto né un addestramento né un premio finale perché gli animali operano spontaneamente. L’importante è abituarli alla seduta di lavoro portando nell’ambiente i loro giochi preferiti o le coperte in modo che si sentano a loro agio in un luogo amico. Non vanno forzati: se l’operatore si accorge che il cane è stressato o semplicemente non ha voglia di partecipare, lo sostituisce».

A ogni malato il suo pet

La Pet therapy è una terapia dolce basata sull’interazione uomo-animale e agisce sulla sfera psicologica ed emotiva dei pazienti.

Quali sono le razze più adatte? «Sembra incredibile, ma in America si usa parecchio il Pitt Bull, oltre all’American Staffordshire Terrier, derivazione del Pitt Bull», spiega Colombo.

  • «Noi usiamo ogni razza, anche i meticci, perché quel che conta è l’indole. I nostri pet (non solo cani, ma anche conigli, gatti, asini e cavalli) non arrivano da allevamenti: sono animali “recuperati” che a loro volta si dedicano al recupero di una persona.

In questo approccio terapeutico si parte da un colloquio con lo psicologo che nel caso dei bambini incontra i genitori per individuare qual è il miglior percorso e l’animale più indicato ad accompagnarlo.

«La scelta della specie dipende dalla circostanza e dalla malattia. A un bimbo tetraplegico, per esempio, difficilmente sarà affiancato un cane di piccola taglia o un gatto, ma verrà preferito un animale più grosso», continua Colombo. Il cane, fra l’altro, è di solito più “disponibile” nei confronti del malato, mentre il gatto è più indipendente».

Da non sottovalutare, infine, la differenza tra la categoria delle “prede” e quella dei “predatori”. Il cavallo, per esempio, che in natura è una preda, deve essere avvicinato con cautela: se il paziente non è tranquillo, rischia di spaventarlo e di farlo fuggire. Meglio allora utilizzare un cane. Comunque, bisogna arrivare gradualmente al contatto fisico tra paziente e animale, specie quando in precedenza non è mai avvenuto».

A decidere ogni dettaglio del percorso di sostegno sarà il terapeuta, che deve essere laureato in psicologia, psicomotricità o scienze umanitarie e avere almeno dieci anni di esperienza alle spalle; se ne ha meno, verrà affiancato da un altro operatore.

 

Info: www.fridasfriends.it

Fonte: estratto da un bellissimo servizio di Anissia Becerra su Airone, marzo 2017
Fonte immagine: https://www.fyzioklinika.cz/en/offer/animal-therapy-canistherapy

 

 

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Sara & Simone

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